da Biscolino
ven mar 25, 2016 10:18 am
Allora, ieri ho fatto un esperimento: ho preso un Woodford Reserve, un Jack Single Barrell e li ho comparati. Perché? Beh, perché il Bourbon mi lascia sempre perplesso e non riesco a capire se valga la pena dedicarci tempo o no.
Bene, cosa ne è venuto fuori? Che sono veramente difficili da distinguere. Non che manchino le differenze, perché già al naso il JD declina più sull'amarena e sulla mandorla amara, mentre il Woodford tende alla prugna secca con un sottofondo che non so come definire (mi viene da dire "felpato" anche se non vuol dire niente...). E anche al palato, con la dovuta concentrazione, si colgono delle differenze.
Però la cosa che più mi lascia pensieroso è il fatto che due whiskey, prodotti in due distillerie diverse (una che maneggia volumi imponenti, l'altra molto più piccola), possano arrivare ad essere così simili tra loro. Ma fosse anche solo per l'invecchiamento: ci sarà pur un'aria diversa tra le due warehouse.
Dove sto arrivando, vi chiedete? Ecco il punto: la legislazione americana sarà anche necessaria a salvaguardare il prodotto, ma è pure un paletto nelle chiappe mica da poco per quei produttori. Cosa potrebbero ottenere se avessero un minimo di libertà in più? Non dico molto ma anche solo poter invecchiare in botti diverse, o anche solo aprire una distilleria sulla costa per includere l'effetto del mare sulla warehouse.
Mi viene da pensare ad esempio ad un NIkka from Barrel (con tutte le dovute differenze, visto che è un blend e quant'altro): gli elementi dei bourbon ci sono (si sente sia al naso che al palato), eppure basta non avere i vincoli americani per tirare fuori un gioiellino di tutt'altra profondità.
Adesso ho in canna ancora da aprire un Buffalo Trace e un Bulleit Rye: vediamo se almeno questi due mi diranno qualcosa di più o se per il futuro sarà meglio abbandonare per un po' la via degli americani e concentrarsi solo sulla deliziosa varietà del resto del mondo.
Bene, cosa ne è venuto fuori? Che sono veramente difficili da distinguere. Non che manchino le differenze, perché già al naso il JD declina più sull'amarena e sulla mandorla amara, mentre il Woodford tende alla prugna secca con un sottofondo che non so come definire (mi viene da dire "felpato" anche se non vuol dire niente...). E anche al palato, con la dovuta concentrazione, si colgono delle differenze.
Però la cosa che più mi lascia pensieroso è il fatto che due whiskey, prodotti in due distillerie diverse (una che maneggia volumi imponenti, l'altra molto più piccola), possano arrivare ad essere così simili tra loro. Ma fosse anche solo per l'invecchiamento: ci sarà pur un'aria diversa tra le due warehouse.
Dove sto arrivando, vi chiedete? Ecco il punto: la legislazione americana sarà anche necessaria a salvaguardare il prodotto, ma è pure un paletto nelle chiappe mica da poco per quei produttori. Cosa potrebbero ottenere se avessero un minimo di libertà in più? Non dico molto ma anche solo poter invecchiare in botti diverse, o anche solo aprire una distilleria sulla costa per includere l'effetto del mare sulla warehouse.
Mi viene da pensare ad esempio ad un NIkka from Barrel (con tutte le dovute differenze, visto che è un blend e quant'altro): gli elementi dei bourbon ci sono (si sente sia al naso che al palato), eppure basta non avere i vincoli americani per tirare fuori un gioiellino di tutt'altra profondità.
Adesso ho in canna ancora da aprire un Buffalo Trace e un Bulleit Rye: vediamo se almeno questi due mi diranno qualcosa di più o se per il futuro sarà meglio abbandonare per un po' la via degli americani e concentrarsi solo sulla deliziosa varietà del resto del mondo.